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Difendere la Giusta Azione | Psicologo Milano Simone Curto
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Difendere la Giusta Azione

Difendere la Giusta Azione

Difendere la Giusta Azione

 

Sto realizzando di muovere i miei passi su un cammino antico, già compiuto mille e più volte. Mi permetto allora di darti un consiglio per esperienza: quando sei sott’acqua e stai nuotando, meglio aprire gli occhi per non andare a sbattere. Lasciati cullare dalle onde, ammira il fondale e i pesci che ci nuotano e una volta approdato a riva senti la differenza, cosa significa, ora, per te, essere a casa. Stai al tuo posto immobile: quando il tuo corpo è fermo è più facile accorgersi che tutto il resto si muove. Ora si che puoi chiudere gli occhi. Ti sembrerà di non fare niente, ma è più accorgersi di dove sei. Ti prego, non fare nulla, davvero. Non fantasticare neanche. Ma soprattutto, non dire niente, nemmeno una parola. Le parole per descrivere la giusta azione ci portano solo a compiere grandi fraintendimenti. Pretendi di sapere davvero cos’è giusto? Sai dire qualcosa del bene e del male? Conosci la strada per il bene comune di cui parli? Accorgiti che non c’è un posto dove andare, lontano o vicino che sia. Semplicemente stai al tuo posto, fermo, al massimo occupati di preparare lo spazio perché il cambiamento arrivi. Fai il vuoto. Io l’ho fatto e mi sono ritrovato in una radura deserta, intorno scorci inesplorati di un mondo arcaico, al cospetto del dio con corpo di uomo e testa di sciacallo, “colui che è sulla montagna”. Mi ha condotto nella sala delle due Verità per assistere alla pesatura del mio cuore. Quel giorno per me è stato possibile passare. Non me lo ha detto, e io non mi sono azzardato nemmeno a parlargli. Semplicemente l’ho intuito perché mi ha permesso di procedere oltre. Oltre il mio castello di pietra ho aperto porte, una dopo l’altra, talmente libero da poter riaprire anche gli occhi. Fu allora che vidi, proprio di fronte a me, i due uccellini dei testi vedici, uno rosso e uno verde, uniti per il becco, che si dimenavano nel tentativo di liberarsi l’uno dall’altro. Il primo non ammetteva nessun tipo di dialogo per uscire da quel vicolo cieco: voleva andare nel mondo, agire prontamente, portare la sua azione sulla terra. Diceva che questa era la sua vera natura e che nessuno poteva chiedergli di fare altro. Il secondo, forse più propenso al dialogo, lo invitava a fermarsi: desiderava comprendere sé stesso, volare forse ma solo per osservarsi dall’alto dei cieli. Diceva che questa era la sua vera natura e che nessuno poteva chiedergli di essere altro. Il tempo che sembrava passare non fu poi molto. Ben presto, in un tempo oltre il tempo, fui testimone dell’alchimia quando quella lotta diventò una danza di due forze in dialogo fra loro. Il due che si fa uno. Come un magma variopinto si aggiunsero a quei due tutti i colori dell’arcobaleno: oltre il rosso e il verde scorsi nitidamente il viola, il blu acceso e uno più tendente all’azzurro, il giallo e l’arancione, e poi ancora il grigio, il nero e il bianco. Era difficile stabilire un confine netto tra tutti quei colori. Un confine che c’era ma che permetteva comunque loro di mischiarsi, scoprirsi, annusarsi, confrontarsi, scontrarsi, fare l’amore e la guerra, nascondersi, allearsi e tradirsi. E io ero testimone puro di questo paradosso, il grande gioco della vita che si mi svelava dinnanzi. Quel giorno appresi di difendere la giusta azione con la mia presenza. Una presenza ferma e silente: solo togliendo, mai aggiungendo, possono scomparire i limiti che ci impediscono di vedere.

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